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Rinvio a giudizio ed obblighi dichiarativi del cessato oltre l’anno di “purgatorio”

Articolo estratto dalla rivista MediAppalti, anno XI n. 1 (www.mediappalti.it) a cura del avv. Adriana Presti
2021
7Marzo

1. Cenni normativi e giurisprudenziali

È oramai pacifico che il decreto di rinvio a giudizio può essere spia di un “grave illecito professionale”, che, pur non determinando l’automatica esclusione da una procedura di gara pubblica, ben può legittimare la Stazione appaltante ad assumere un provvedimento di esclusione (cfr. ex multis Cons. St., V, 20/03/2019, n. 1846; Cons. St., V, 27/2/2019, n. 1367; Cons. St., V, 3/9/2018 n. 5142; Cons. St., III, 23/11/2017, n. 5467). L’elencazione dei gravi illeciti professionali rilevanti contenuta nella lett. c), del comma 5, dell'art. 80 del D.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in poi anche “Codice”) è meramente esemplificativa e non esclude, infatti, la circostanza che la Stazione appaltante possa dare rilevo ad elementi gravi suscettibili di minare l’integrità e/o affidabilità dell’operatore in rapporto allo specifico contratto. È opinione incontrastata, infatti, che l’elencazione ivi racchiusa, pur agevolando gli obblighi dimostrativi della Stazione Appaltante, qualora ritenga di addivenire all’esclusione dell’operatore economico colpevole dei gravi illeciti professionali ivi tipizzati, non ne limita tuttavia la discrezionalità nella valutazione di altre situazioni, ritenute tali da rendere dubbia l’integrità o l’affidabilità del concorrente. La richiamata disposizione mira a tutelare il vincolo fiduciario che deve sussistere tra amministrazione aggiudicatrice e operatore economico, consentendo di attribuire, dunque, rilevanza ad ogni tipologia di illecito che per la sua gravità, sia in grado di minare l’integrità morale e professionale di quest’ultimo. La giurisprudenza amministrativa ha così a più riprese affermato che anche il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale - al pari della adozione di un'ordinanza di custodia cautelare - a carico dell'amministratore della società interessata, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regola la aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell’impresa con conseguente legittimità di un provvedimento di esclusione che previa adeguata motivazione ne abbia vagliato l’incidenza negativa sulla moralità professionale (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. I, 24 gennaio 2020, n. 84; in termini proprio su misura cautelare T.A.R. Firenze, sez. II, 19/01/2021 n. 77; T.A.R. Firenze, sez. I, del 09/01/2019, n.53; in tal senso T.A.R. Napoli, sez. VII, 26/06/2018, n.4271, ed in senso analogo anche Cons. Stato, Sez. VI, 01/02/2013, n.620).

Pertanto, è ormai consolidato il principio per il quale i fatti oggetto di accertamento in un procedimento penale ancora in corso possano ben essere considerati “mezzi adeguati” da parte di una amministrazione, per dimostrare che un operatore economico si sia reso responsabile di gravi illeciti professionali; non essendo indispensabile che i gravi illeciti professionali posti a fondamento dell’esclusione del concorrente dalla gara siano stati accertati con sentenza, anche non definitiva, essendo infatti sufficiente che gli stessi siano ricavabili da altri gravi indizi (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 23 /08/2019, n. 959). In linea con l’orientamento domestico, la Corte di Giustizia, con Ordinanza del 4 giugno 2019, resa nella causa C-425/18, CNS - GGT S.p.A., ha definitivamente chiarito che: - la nozione di «errore nell’esercizio della propria attività professionale» comprende qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico di cui trattasi la sua integrità o affidabilità; - di conseguenza la nozione di «errore nell’esercizio della propria attività professionale», che è oggetto di un’interpretazione ampia, non può limitarsi ai soli inadempimenti e condotte negligenti commessi nell’esecuzione di un contratto pubblico; - la nozione di «errore grave» deve essere intesa nel senso che essa si riferisce normalmente a un comportamento dell’operatore economico in questione che denoti un’intenzione dolosa o un atteggiamento colposo di una certa gravità da parte sua; - l’accertamento di un tale errore non richiede una sentenza passata in giudicato.

Il concetto di “grave illecito professionale” finisce dunque per ricomprendere ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa. Ne discende che qualsiasi condotta contra legem, ove collegata all’esercizio dell’attività professionale dell’operatore economico, è di per sé potenzialmente idonea ad incidere sul processo decisionale rimesso alle stazioni appaltanti circa l’accreditamento dei concorrenti come operatori complessivamente affidabili (Cons. Stato, III, 29/11/2018, n. 6787; V, n. 3628/2018; V, n. 761/2016). Alla luce di ciò, l’«illecito professionale» “rileva non come tale, cioè nella (distinta) dimensione in cui viene accertato ed eventualmente sanzionato per la sua intrinseca offensività, bensì se e nella misura in cui risulti rilevante sul piano della affidabilità e integrità dell’operatore, e quindi funzionalmente a un apprezzamento - in termini negativi, e cioè ostativi - dell’operatore ai fini dell’affidamento del contratto pubblico” (v. di recente, Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2021, n. 307).

L’orientamento ad oggi maggioritario e assolutamente prevalente ammette, quindi, che le risultanze delle indagini penali ovvero il decreto di rinvio a giudizio assumano rilievo come fattore sintomatico dell’inaffidabilità dell’operatore economico e, come tali, siano di per sé sufficienti a giustificare l’esclusione dell’operatore economico concorrente. Del resto, come da ultimo confermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 168/2020, ben si può configurare un considerevole illecito professionale o comunque un grave inadempimento, che comporti l’esclusione dalla gara, “…quand’anche l’illecito non sia stato accertato definitivamente in giudizio (come si può desumere anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 19 giugno 2019, in causa C-41/18, Meca), ma sussistano e siano valutati elementi tali da «provocare la rottura del rapporto di fiducia con l’operatore economico» (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 3 ottobre 2019, in causa C- 267/18, D.A.C. SA). Al pari di chiunque altro, la pubblica amministrazione non può infatti essere obbligata a contrarre con parti che essa ritiene, in forza di elementi obiettivi, inaffidabili”. Sul punto, come rilevato dal TAR Lazio in una recente sentenza “è assunto consolidato che l’amministrazione, nella spendita del proprio potere tecnico- discrezionale e nella sua autonoma valutazione dei requisiti di ordine generale, ben può formare il proprio convincimento su ogni tipo di prova e/o risultanza, anche tratta aliunde, vigendo in tale campo un immanente principio di atipicità, con l’unico limite costituito dalla certezza e dalla (ritenuta) significatività delle circostanze accertate” (Sez. II, 13/10/2020, n. 10413). In tale prospettiva occorre - per poter apprezzare in chiave escludente la pregressa condotta oggetto di procedimento penale - che l’amministrazione “dia adeguato conto: a) di aver effettuato una autonoma valutazione delle idonee fonti di prova; b) di aver considerato le emergenti circostanze di fatto sotto il profilo della loro pertinenza e rilevanza in ordine all’apprezzamento di integrità morale e affidabilità professionale del concorrente” (Cons. di Stato, V, 17 settembre 2018, n. 5424; 21 gennaio 2020, n. 474, 475, 477-479 e 481; 9 gennaio 2020, n. 158, maturate sull’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163 del 2006, ma espressive di principi che permangono validi anche per l’attuale disciplina).

2. Il caso oggetto della pronuncia del TAR Lazio n. 1725/2021

Il TAR Lazio, Sez. I bis, con la sentenza del 11 febbraio 2021, n. 1275 ha risolto una interessante controversia in materia di valutazione di affidabilità morale e professionale di un operatore economico per vicende però riferibili ad un soggetto cessato dalla carica ben prima dell’anno antecedente la pubblicazione del bando di gara in questione. In particolare, la parte ricorrente nel contestare l’aggiudicazione aveva lamentato, in sostanza, che a carico di soggetto che aveva esercitato poteri gestionali (essendo peraltro anche socio di minoranza) della società aggiudicataria erano stati avviati giudizi penali, per reati automaticamente escludenti ai sensi di cui all’art. 80, comma 1, lett. b), del Codice, e che tale situazione andava dichiarata alla Stazione appaltante in sede di gara, poiché potenzialmente foriera di ricadere nell’ambito della commissione di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia l’integrità professionale o affidabilità dell’operatore economico, comportanti l’esclusione ai sensi della lett. c) del comma 5 dell’art. 80 del Codice. Di conseguenza l’individuato aggiudicatario sarebbe stato tenuto a rappresentare tale situazione in sede di gara per consentire alla Stazione appaltante di valutarne la rilevanza ai fini della partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica. Tanto più che la composizione familiare della struttura proprietaria della società avrebbe dovuto indurre la società a dichiarare l’indicata situazione, ancorché l’interessato non rivestiva alcuna carica in seno alla società al momento della presentazione dell’offerta. Con la conseguenza che la dichiarazione circa la non sussistenza di fattispecie rilevanti ai sensi dell’art. 80, comma 5 del d.lgs. 50/2016 avrebbe dovuto ex se implicare la fattispecie di omessa o falsa dichiarazione con conseguente esclusione del concorrente dalla procedura di gara. In prima battuta, sebbene nell’ottica tipica della fase cautelare, il Collegio aveva rilevato che il ricorso non appariva supportato da fumus boni iuris, in quanto il soggetto, in ordine al quale era riferito il comportamento tale da integrare il grave errore professionale e in riferimento al quale sarebbe risultata omessa la relativa dichiarazione alla Stazione Appaltante, non occupava più da tempo una posizione rilevante all’interno dell’operatore economico in questione, non rientrando dunque più nel novero di quelli indicati nell’art. 80, comma 3, del Codice e risultando trascorso un triennio dai fatti asseritamente addebitabili come grave errore professionale. Sennonché l’esito della controversia è risultato tutt’altro che scontato.

3. La decisione del TAR Lazio n. 1725/2021

Il Collegio, infatti, nell’affrontare il quesito giuridico sottostante la suddetta controversia che riguarda la sfera soggettiva della rilevanza dei comportamenti penalmente rilevanti potenzialmente valutabili come gravi illeciti professionali, ha preliminarmente ritenuto di precisare che, dopo il rigetto dell’istanza di misure cautelari, sono stati depositati agli atti di causa copia del decreto di rinvio a giudizio, nell’ambito del quale è emerso che le condotte penali vengono attribuite all’attuale socio della aggiudicataria, quale (ex) rappresentante della stessa e i fatti sono riferiti come inerenti sia alla fase di affidamento, che a quella di esecuzione di appalti pubblici.

Negli obblighi comunicativi rientrano tutte le possibili cause che possono ragionevolmente rilevare incluso il rinvio a giudizio per reati inerenti alla fase di affidamento ed esecuzione di appalti pubblici da parte di un procuratore generale dell’operatore economico, il quale abbia posto in essere una tale condotta in qualità di rappresentante della stessa e con la finalità di avvantaggiare quest’ultima. Ciò di cui si discute è l’imputabilità alla società di comportamenti potenzialmente valutabili come gravi illeciti professionali che devono essere portati a conoscenza della Stazione appaltante ai fini dell’opportuna valutazione.

Il Collegio, nell’accogliere il ricorso, ha svolto alcune considerazioni di carattere generale - che è utile ripercorrere - sugli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici al momento della partecipazione ad una procedura di gara in relazione al compimento di “gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”, di cui all'art. 80, comma 5, lett. c) D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Più in particolare ha affermato che:

- anche nella versione originaria dell’indicata norma, che elencava delle specifiche fattispecie di possibili comportamenti illeciti, la giurisprudenza ha precisato il carattere puramente esemplificativo dell'indicata elencazione contenuta e riconosciuto la facoltà della stazione appaltante di desumere il compimento di "gravi illeciti" da ogni altra vicenda pregressa dell'attività professionale dell'operatore economico di cui sia accertata la contrarietà ad un dovere posto in una norma civile, penale o amministrativa (Cons. Stato, sec. V, 8/10/2020, n. 5967; V, 14/04/2020, n. 2389; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giuris., 9/12/2019, n. 1039);

- tale conclusione è tanto più valida nell’attuale testo che non prevede delle espresse fattispecie esplicative di tale previsione, ma ha aggiunto autonome fattispecie di rilevanza, come ad esempio la lett. c bis) al medesimo comma 5 relativo all' “operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione”;

- la portata generale, non tipizzata ed atipica delle ipotesi qualificabili come gravi illeciti professionali ai fini dell’eventuale esclusione dalla gara è stata confermata dalle Linee Guide ANAC n. 6, secondo le quali “gli illeciti professionali gravi rilevano ai fini dell’esclusione dalle gare a prescindere dalla natura civile, penale o amministrativa dell’illecito” (§ 2.1), senza tipizzare i gravi illeciti professionali, che devono essere valutati dalla Stazione Appaltante.

Alla luce di ciò è conseguentemente onere degli operatori economici portare a conoscenza della Stazione Appaltante tutte le informazioni rilevanti relative alle proprie vicende professionali, anche non costituenti cause tipizzate di esclusione, così da consentirle un'adeguata e ponderata valutazione sulla sua affidabilità e integrità, a prescindere dalla fondatezza, gravità e pertinenza di detti episodi (Cons. Stato Sez. V, 10/10/2020, n. 6615; V, 7 /01/2020, n. 70; V, 4/02/2019, n. 827; V, 16/11/ 2018, n. 6461; V, 24/09/2018, n. 5500). Ebbene, secondo il TAR, in tali obblighi comunicativi rientrano, quindi, tutte le possibili cause che possono ragionevolmente rilevare al riguardo, tra le quali un rinvio a giudizio per reati inerenti alla fase di affidamento ed esecuzione di appalti pubblici da parte di un procuratore generale della società e che, in ogni caso, ha posto in essere tale condotta in qualità di rappresentante della stessa e con la finalità di avvantaggiare quest’ultima, come emerge nel caso in esame dagli atti del rinvio a giudizio. Infatti, i comportamenti di ipotesi reato non riguardano vicende personali dell‘interessato in questione, essendo invece pacificamente state poste in essere nell’ambito dell’attività imprenditoriale a vantaggio dell’impresa. Secondo il Collegio i suddetti obblighi dichiarativi assumono ancora maggior consistenza anche perché potenzialmente interessanti, oltre alla generica formula di cui alla lett. c) del comma 5 dell’articolo 80 in questione, anche quella più specifica di cui alla lett. c - bis) del medesimo comma che, come già indicato, riguarda il tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante. Il TAR Lazio, nell’accezione prospettica del gravame, ha pertanto espressamente ritenuto irrilevante la circostanza che il soggetto attinto dal rinvio a giudizio - ed in riferimento al quale risulterebbe omessa la relativa dichiarazione alla stazione appaltante - non occupasse più da tempo una posizione rilevante all’interno dell’impresa e avesse cessato ogni carica sociale rilevante nel 2017 (quella di procuratore generale), e che lo stesso non rivestisse, al momento dell’offerta alcuna carica rappresentativa, o di direzione, né detenesse alcuna procura nell’impresa, e possedesse solo una quota sociale di minoranza pari al 19,5%, in una società di capitali con sei soci, ancorché in una compagine societaria a rilevanza familiare. È stata pertanto negata rilevanza alla circostanza che il medesimo soggetto non rientrasse nel novero di quelli indicati nell’art. 80, comma 3, del Codice in riferimento ai quali le vicende penalistiche possono comportare l’esclusione, anche qualora cessati dalla carica nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara. E ciò per la saliente ragione che quello che è imputato alla società non riguarda direttamente l’omissione degli obblighi di comunicazione riguardanti espressamente gli organi di vertice amministrativi societari della partecipanti alla gara, aventi loro requisiti tra i quali assume rilevanza la cessazione della carica nell’anno antecedente alla gara, bensì l’imputabilità alla società di comportamenti potenzialmente valutabili come gravi illeciti professionali che devono essere portati a conoscenza della Stazione appaltante ai fini dell’opportuna valutazione. Il Collegio pur non smentendo la portata della giurisprudenza che ha affermato come il decreto di rinvio a giudizio per condotte tenute in esecuzione di precedenti contratti di appalto costituisce vicenda professionale suscettibile di essere qualificata come “grave illecito professionale”, in quanto in grado di compromettere l’affidabilità e l’integrità dell’operatore economico concorrente, qualora abbia riguardo ad uno dei soggetti di cui all’art. 80, comma 3, del codice dei contratti pubblici - ovvero, per quel che interessa in relazione alla fattispecie in commento "dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi institori e procuratori generali, dei membri degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo, del direttore tecnico o del socio unico persona fisica, ovvero del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro" (Cons. Stato, Sez. V, 29/10/2020, n. 6615) – ha tuttavia specificato come nelle Linee guida n. 6 dell’ANAC, i gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara non solo quando siano riferiti ai soggetti individuati dall’art. 80, comma 3, del Codice, ma anche, ed in primis, “quando siano sono riferiti direttamente all’operatore economico”.

Nelle Linee guida n. 6 dell’ANAC, i gravi illeciti professionali assumono rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara non solo quando siano riferiti ai soggetti individuati dall’art. 80, comma 3, del Codice, ma anche, ed in primis, “quando siano sono riferiti direttamente all’operatore economico”.

Ed in tale ultima ipotesi che si deve far rientrare l’attività del soggetto che esercita poteri amministrativi e gestionali nella società (nella specie il soggetto nei confronti dei quali è stata esercitata l’azione penale ha rivestito una carica di procuratore generale sino al 2017), che se posta in essere nell’ambito dell’impresa, come nel caso in esame, deve essere riferibile a quest’ultima.

La riferibilità all’operatore economico anche di situazioni di amministrazione di fatto evita, difatti, la comoda eludibilità della norma, mediante l’ “utilizzo” di soggetti non formalmente investiti di incarichi di vertice.

Siffatta riferibilità, a parere del Collegio, sussiste non solo qualora tale attività sia stata posta in essere in forza di formali atti di investitura, ma anche nel caso l’agente operi come amministratore di fatto a vantaggio dell’impresa. La riferibilità all’impresa anche di situazioni di amministrazione di fatto evita, difatti, la comoda eludibilità della norma, mediante l’“utilizzo” di soggetti non formalmente investiti di incarichi di vertice. Un’altra questione affrontata dal Collegio è quella della necessità di definire gli esatti limiti di operatività di un siffatto generalizzato obbligo dichiarativo, dato che un'ampia interpretazione potrebbe rivelarsi eccessivamente onerosa per gli operatori economici, imponendo loro di ripercorrere a beneficio della stazione appaltante vicende professionali datate o, comunque, del tutto insignificanti nel contesto della vita professionale di una impresa (Cons. Stato, sez. V, 3/09/2018, n. 5142, Cons. Stato, V, 14 /04/2020, n. 2389; V, 22 /07/2019, n. 5171; cfr. inoltre Cons. Stato, sez. V, 6 /07/2020, n. 4314). A tal proposito è stata ritenuta, dunque, condivisibile la giurisprudenza che si è orientata per l’individuazione di un limite temporale all’obbligo dichiarativo, ancorato alla postulata irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla adozione degli atti indittivi (Cons. Stato, Sez. V, 29/10/2020, n. 6615; Cons. Stato, V, 5 marzo 2020, n. 1605).

L’individuazione del limite temporale all’obbligo dichiarativo è ancorata alla irrilevanza di illeciti commessi dopo il triennio anteriore alla data di pubblicazione del Bando di gara. Nel caso di fattispecie di reato l’obbligo dichiarativo viene esteso temporalmente al triennio successivo alla definizione del giudizio penale e nelle more compete alla Stazione Appaltante giudicare la valenza della concreta fattispecie ai fini di una eventuale esclusione ai sensi del comma 5, dell’articolo 80 del Codice.

Tuttavia, in relazione all’esistenza di comportamenti formalmente interessati da un giudizio penale, come quelli in esame, pare applicabile il comma 10 bis dell’art. 80 del codice degli appalti, ai sensi del quale “nei casi di cui al comma 5, la durata della esclusione è pari a tre anni, decorrenti dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione ovvero, in caso di contestazione in giudizio, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza. Nel tempo occorrente alla definizione del giudizio, la stazione appaltante deve tenere conto di tale fatto ai fini della propria valutazione circa la sussistenza del presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l'operatore economico che l'abbia commesso”. In tal senso, quindi, nell’ipotesi di fattispecie di reato l’obbligo dichiarativo viene esteso temporalmente al triennio successivo alla definizione del giudizio penale e nelle more compete alla Stazione Appaltante giudicare la valenza della concreta fattispecie ai fini di una eventuale esclusione. Con riferimento alle misure di self cleaning poste in essere prima della indizione della gara – nella fattispecie concernenti la revoca di ogni incarico all’interessato e la successiva mancata attribuzione di alcun ruolo di rappresentanza o direttivo nella società (salva la titolarità delle quote societarie quale socio di minoranza), l’adozione del modello di gestione ex d.lgs. n. 231/2001 con associata nomina dell’organo di vigilanza – il Collegio, pur convenendo sulla astratta possibilità e rilevanza delle ridette misure di self cleaning (come anche previsto dai commi 7 e 8 dell’art. 80 del Codice), ne ha rimesso la valutazione alla Stazione Appaltante, rimarcando l’impossibilità per l’operatore economico di valutare ex ante ed autonomamente le misure di self cleaning in rapporto all’effettiva rilevanza dei fatti potenzialmente integranti gravi illeciti professionali al fine di ritenere insussistente l’onere di comunicazione. Il Collegio ha quindi ritenuto che l’omissione dichiarativa in cui è incorso il concorrente aggiudicatario non avrebbe potuto comportare in sede di gara all’automatica esclusione dell’impresa in questione e che la stessa non è di per sé preclusiva della aggiudicazione alla stessa a seguito della pronuncia in commento. Secondo la più recente giurisprudenza, infatti, da tali omissioni dichiarative non può derivare nessun automatismo espulsivo, in quanto in tali ipotesi è indispensabile una valutazione in concreto della Stazione Appaltante (Vedi Cons. Stato, Adunanza plenaria, 28 agosto 2020, n. 16; T.A.R. Sardegna, sez. I, 26 gennaio 2021 n. 42; T.A.R. Toscana, Sez. I, 18 gennaio 2021 n. 62). La valutazione delle informazioni omesse o fuorvianti va effettuata dalla Stazione Appaltante e non può essere rimessa al Giudice amministrativo; osta a ciò, nel caso in cui tale valutazione sia mancata, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo (secondo cui il giudice non può pronunciare «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati»). I consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale non escludono poi in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma impongono al giudice una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione. L’Amministrazione, quindi, dovendo riprendere l’iter procedimentale dal momento del compimento dell’atto illegittimo, dovrà valutare in sede di riedizione del potere amministrativo le circostanze emerse e non comunicate, ai fini di verificare la loro concreta valenza ostativa relativamente all’aggiudicazione dell’appalto, dovendosi solo all’esito di tale verifica eventualmente ritenersi caducata l’aggiudicazione con tutto ciò che ne consegue.

4. Osservazioni conclusive

Nell’approccio qui accolto dalla pronuncia in commento l’omissione dichiarativa è correlata alla imputabilità alla società di comportamenti potenzialmente valutabili come gravi illeciti professionali che devono essere portati a conoscenza della Stazione appaltante ai fini dell’opportuna valutazione. In questa prospettiva, è irrilevante che il soggetto nei confronti dei quali è pendente un giudizio penale non possa dirsi cessato ai fini dell’operatività del comma 3 dell’articolo 80 del Codice e degli obblighi comunicativi dallo stesso discendenti. Ne discende che la pendenza di giudizi penali, le richieste di rinvio a giudizio ed indagini di Procure della Repubblica tutte concernenti un soggetto che ha esercitato una influenza sulla concorrente aggiudicataria costituiscono circostanze idonee ad incidere sull’affidabilità ed integrità morale e professionale di un operatore economico e la relativa omissione in sede di domanda di partecipazione costituiscono elementi che secondo la giurisprudenza amministrativa più recente assumono un rilievo innegabile nell’ottica delle valutazioni di affidabilità in discussione (da ultimo Cons. di Stato, Sez. V, 01/03/2021 n. 1761). Del resto la giurisprudenza europea ha al riguardo affermato che: “Ai sensi della direttiva 2004/18/Ce, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, in particolare l’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettere c), d) e g), interpretata anche alla luce nonché i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, deve intendersi che il diritto dell’Unione consente ad una normativa nazionale di prevedere che l’amministrazione aggiudicatrice tenga conto, secondo le condizioni dalla stessa indicate, di una condanna penale a carico dell’amministratore di un’impresa offerente, anche se detta condanna non è ancora definitiva, per un reato che incide sulla moralità professionale di tale impresa, anche qualora il suddetto amministratore abbia cessato di esercitare le sue funzioni nell’anno precedente la pubblicazione del bando di gara d’appalto pubblico. (Corte giustizia UE sez. IV, 20/12/2017, n.178). Sicché nelle gare di appalto l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione sono considerati quali “gravi illeciti professionali” in grado di incidere sull’”integrità o affidabilità” dell’operatore economico. Il Collegio pertanto richiama, pur senza citarle, le conclusioni dell’Adunanza plenaria n. 16/2020, in cui si afferma che l’elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell’amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis). Infatti, tanto “il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione”, quanto “l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” sono considerati dalla lettera c) quali “gravi illeciti professionali” in grado di incidere sull’”integrità o affidabilità” dell’operatore economico. È pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 – Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici; convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55. Spetterà all’Amministrazione, quindi, stabilire se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità. Come dettato dalla Plenaria una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo. Osta a ciò, nel caso in cui tale valutazione sia mancata, il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo. I consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale non escludono poi in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma impongono al giudice una valutazione della correttezza dell’esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all’attendibilità della scelta effettuata dall’amministrazione. Nel merito però il fatto che il soggetto rinviato a giudizio sia cessato dalla carica prima dell’anno antecedente alla pubblicazione del bando, senza più assumere carica alcuna all’interno degli organi societari, rileva comunque quale misura di self – cleaning da apprezzare anch’essa ad opera della Stazione appaltante in sede di valutazione dell’affidabilità e integrità del concorrente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29/10/2020, n. 6615; sulle misure di self – cleaning, cfr. Cons. Stato, sez. V, 6/04/2020, n. 2260).