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Recenti interventi ANAC e del MIT sul codice dei contratti

Articolo estratto dalla rivista MediAppalti, anno XIV n. 6 (www.mediappalti.it) a cura della dott. Stefano Usai
2024
10Settembre

Premessa

Con questo contributo si cercherà di analizzare alcuni recenti interventi di tipo pratico/operativo – relativamente al nuovo codice dei contratti – del MIT e dell’ANAC.

1. Il vademecum informativo sull’affidamento diretto dell’ANAC

Nel mese di agosto, l’autorità anticorruzione ha pubblicato il vademecum informativo in tema di affidamento diretto fornendo ai RUP alcune indicazioni pratico operative.

Nell’ambito di questo documento, di sicuro rilievo è l’aver rammentato che anche in caso in cui sia possibile l’affidamento diretto il RUP è sempre e comunque tenuto alla verifica se il contratto del cui affidamento si tratta abbia o meno un interesse transfrontaliero (ai sensi dell’articolo 48 del codice).

L’esistenza dell’interesse transfrontaliero impedisce al RUP di utilizzare le procedure semplificate (disciplinate nell’ art. 50 per il sottosoglia comunitario). Il responsabile unico del progetto, pertanto, anche nel sottosoglia è costretto ad utilizzare le procedure ordinarie, qualora certifichi – nella decisione a contrarre - l’esistenza di un interesse transfrontaliero.

Il problema pratico, che l’ANAC affronta, è quello di spiegare in che modo e/o con quali modalità si rende conoscibile, ad esempio, l’inesistenza (o l’esistenza) dell’interesse transfrontaliero.

L’ANAC ricorda che si può accertare l’esistenza o meno di un interesse transfrontaliero in relazione ad alcuni specifici aspetti:

  • in ragione al valore stimato del contratto da affidare;

  • in relazione alla tecnicità o all’ubicazione dei lavori in un luogo idoneo ad attrarre l’interesse di operatori esteri;

  • in relazione alle caratteristiche tecniche dell’appalto e del settore di riferimento (quindi, ad esempio, la struttura del mercato, le sue dimensioni e la prassi commerciali in esso praticate). Il RUP dovrà anche verificare dell’esistenza (o meno) di denunce presentate da operatori ubicati in altri Stati membri, purché sia accertato che queste ultime sono reali e non fittizie” (Corte di Giustizia, 6 ottobre 2016, n. 318). Soprattutto se la stazione appaltante sia già stata interessata sulla questione in relazione ad altri appalti.

Altra questione di rilievo è l’analisi della casistica dei c.d. micro affidamenti (appalti di importo inferiore ai 5 mila euro). Nel documento si elencano una serie di semplificazioni. La prima di queste sarebbe relativa alla possibilità del RUP di non utilizzare il MEPA ed i sistemi telematici regionali per importi inferiori ai 5 mila euro. Nel documento si richiama il disposto contenuto nel comma 450, art. 1, della legge 296/2006.

L’affermazione, in realtà, sembra parzialmente corretta solo se riferita alle “amministrazioni statali centrali e periferiche” come si legge nel primo periodo del comma in argomento.

Il secondo periodo del comma, in realtà, consente alle “amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” (e quindi, ad esempio, agli enti locali) “nonché le autorità indipendenti” di utilizzare anche i mercati elettronici propri (e quindi non solo il MEPA o il mercato del soggetto aggregatore).

Questo emerge chiaramente dal periodo della legge finanziaria citata in cui si legge che le amministrazioni ivi richiamata, per importi pari o superiori ai 5mila euro “sono tenute a fare ricorso al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero ad altri mercati elettronici (…) ovvero al sistema telematico messo a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure”.

Pertanto, la pregressa disposizione consentiva di non utilizzare il mercato elettronico in caso di importi inferiori ai 5 mila euro ma oggi la questione è diversa visto che attraverso propri mercati elettronici l’ente potrebbe non utilizzare il MEPA (né il soggetto aggregatore) a condizione che utilizzi piattaforme.

La previsione della legge finanziaria, quindi, non può che ritenersi superata per effetto della digitalizzazione del ciclo di vita dell’appalto che impone l’obbligo di formalizzare gli acquisti, a prescindere dall’importo (FAQ ANAC A7 e D4), attraverso le piattaforme di approvvigionamento (che per gli acquisti di importo inferiore ai 5 mila euro possono essere anche non certificate almeno fino al 31 dicembre 2024).

Ed in questo senso, l’altro ulteriore intervento dell’ANAC ed in particolare, come appena evidenziato, la ribadita possibilità di utilizzare la piattaforma PCP dell’autorità anticorruzione per acquisire il CIG per i micro appalti di importo inferiore ai 5 mila euro.

È bene rammentare che l’applicativo è stato introdotto (e si rinvia al comunicato dello stesso Presidente ANAC del 10 gennaio 2024) per consentire ai RUP l’acquisizione del CIG, nel caso di acquisti infra 5mila euro in caso di difficoltà di acquisizione direttamente con le piattaforme di approvvigionamento (per il tramite dei collegamenti che le piattaforme devono avere con le schede dell’ANAC).

Già con il comunicato ultimo citato, il Presidente dell’autorità presa in considerazione la difficoltà dell’avvio della digitalizzazione del ciclo di vita degli appalti ha ammesso la possibilità di utilizzare – inizialmente fino al 30 settembre 2024 – la piattaforma PCP acquisire il CIG e quindi perfezionare l’affidamento attraverso la piattaforma di approvvigionamento anche non certificata.

Tale prerogativa, con il recente comunicato è stata estesa fino al 31 dicembre 2024.

È bene rammentare che questa dinamica è utilizzabile se le piattaforme non funzionano e non legittimano affatto – come si è annotato – all’acquisto della prestazione infra 5mila euro al di fuori della piattaforma/mercato elettronico.

È noto che sia l’ANAC sia il MIT hanno chiarito che la deroga all’obbligo di utilizzare il mercato elettronico (previsto nell’articolo 41 comma 450 della legge 296/2006) per i micro acquisti non è più utilizzabile dal 1° gennaio 2024.

La digitalizzazione, quindi, si applica ad ogni affidamento.

Ciò è quanto, del resto, viene ribadito dal MIT con il recente parere n. 2524/2024. Alla consueta domanda circa la possibilità di utilizzare la deroga prevista dalla legge sopra citata anche nel sistema della digitalizzazione l’ufficio di supporto è molto chiaro (come ha fatto, del resto anche l’ANAC).

In particolare, il Ministero puntualizza come con l’art. 25 del codice si è previsto che dal primo gennaio 2024, le stazioni appaltanti e gli enti concedenti sono obbligate/i ad utilizzare le piattaforme di approvvigionamento digitale per svolgere tutte le procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, piattaforme certificate secondo le regole tecniche di cui all’articolo 26 del d.lgs. 36/2023.

Questo anche nel caso di micro affidamenti di importo inferiore ai 5 mila euro, come del resto – si legge ancora nel parere – risulta ampiamente chiarito nel comunicato ANAC del 10 gennaio sopra richiamato.

2. Il procedimento dell’affidamento diretto

Nella sintesi finale, l’ANAC indica/individua le fasi entro cui si svolge il procedimento amministrativo. Più nel dettaglio, vengono individuate tre fasi, preliminare, della “selezione informale” e quella dell’affidamento.

Alla prima sono riconducibili, la nomina del RUP e la “predisposizione di una relazione progettuale semplificata da porre a base dell’affidamento diretto”.

Nella seconda fase il documento innesta la “selezione informale”. In realtà – come emerge dall’allegato I.1 (nel vademecum per mero refuso si cita l’allegato I.3) nell’affidamento diretto non esiste una selezione ma una mera attività istruttoria, condotta dal RUP o da un suo collaboratore, che non è una selezione vera e propria, questo anche nel caso in cui si proceda con indagine di mercato o richiesta di preventivi (con l’interpello).

In entrambi i casi, infatti, il dialogo negoziale del RUP avviene con soggetti individuati singolarmente (non in modo simmetrico ed in competizione l’uno con l’altro).

E questo viene affermato più avanti nello stesso documento in cu si legge che “La fase di selezione informale nella quale il RUP della stazione appaltante può procedere eventualmente ad indagini di mercato o all’acquisizione di più preventivi o anche di un solo preventivo che vengono valutati discrezionalmente dalla stazione appaltante” e questa fase – sostanziandosi come detto in un momento istruttorio/negoziale “può avvenire con o senza l’impiego di una piattaforma certificata”

A conclusione del procedimento - c.d. terza fase -, dopo la verifica dei requisiti (per appalti di importo superiore ai 40mila euro stante la deroga prevista nell’articolo 52, si colloca la decisione di affidamento e la contestuale pubblicazione.

Come già detto, l’attuale “digitalizzazione” in realtà non esclude – anzi rende necessario – l’atto di avvio del procedimento di affidamento diretto (per l’esigenza di richiamarla – inserire l’URL di pubblicazione nella sezione trasparenza -, per acquisire il CIG, durante la procedura di affidamento nella piattaforma di approvvigionamento).

Sulla verifica dei requisiti, viene annunciata la novità della(prossima) disponibilità della SIM (scheda di indagine di Mercato) che consentirà “di gestire digitalmente la fase preventiva all’affidamento ed in particolare di effettuare i controlli dei requisiti” per gli “affidamenti diretti di lavori servizi e forniture tramite accesso al FVOE”.

Tra l’altro l’ANAC rammenta che successivamente alla trasmissione delle informazioni relative all’affidamento, i RUP sono tenuti “all’invio della scheda di stipula del relativo contratto ossia la scheda SC1 nonché delle successive schede relative all’esecuzione e alla regolare esecuzione o collaudo. Per quanto riguarda la scheda AD5 (affidamenti fino a 5000 euro) è sufficiente trasmettere la rispettiva scheda di conclusione CO2”.

3. Il ruolo del responsabile di fase nella giurisprudenza e nella prassi (del MIT)

In tempi recenti la giurisprudenza ed il MIT si sono occupati di un aspetto specifico circa la competenza del responsabile di fase ovvero se questo possa o meno adottare il provvedimento di esclusione.

Secondo la sentenza del Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, n. 177/2024, da condividere, si afferma che il responsabile della fase di affidamento non può adottare il provvedimento di esclusione.

Posizione opposta a quella appena sintetizzata risulta espressa con la sentenza n. 26/2024 del Tar Valle d’Aosta.

In particolare – a dimostrazione che la tesi, pur autorevole, non pare persuasiva, il modello organizzativo previsto nel comma 4 dell’articolo 15 che consente l’individuazione di responsabili di fase ammetterebbe anche la possibilità, sempre per la stazione appaltante/ente concedente di modificare le prerogative del RUP, e quindi dello stesso responsabile di fase.

Questa possibilità potrebbe indurre, addirittura, ad assegnare a quest’ultimo la prerogativa di adottare il provvedimento di esclusione.

L’affermazione contenuta in sentenza non appare totalmente condivisibile e deve essere respinta.

Come deve essere respinto il parere del MIT che si esprime nello stesso senso (parere n. 2666/2024)

Il responsabile di fase, non a caso, già dal codice viene definito come un mero responsabile di procedimento; pertanto, i compiti non potevano e non sono definiti dal codice (al netto della possibilità di acquisire il CIG) ma direttamente dalla legge 241/90. Pertanto, il responsabile di fase non ha poteri a valenza esterna ed anzi nel caso del provvedimento di esclusione l’allegato I.2 attribuisce tale prerogativa direttamente al RUP (art. 7, comma 1 lett. d)).

4. Il quinto d’obbligo nel nuovo codice dei contratti (art. 120)

L’’ufficio legale di supporto del MIT con alcuni pareri ha affrontato le implicazioni pratiche di una delle novità di maggior rilievo in tema di modificazioni del contratto ovvero la questione del calcolo del c.d. quinto d’obbligo.

L’articolo 120 (che sostituisce con novità l’articolo 106 del pregresso codice) prevede la variazione/modifica entro il quinto del valore del contratto come opzione che deve essere prevista nella legge di gara e calcolata (sommata) nell’importo dell’appalto.

L’ufficio di supporto risponde ad alcuni dubbi pratici. La prima questione viene risolta con il parere n. 2713/2024.

Nel quesito si chiedono dei chiarimenti sulle dinamiche di calcolo del quinto.

L’ufficio di supporto spiega che il legislatore ha “ritenuto che nel valore stimato dell'appalto va compreso anche il c.d. ‘quinto d'obbligo'”.

Le ragioni di tale decisione – così legge nel parere – sono state ben esplicitate nella Relazione illustrativa del Bando-tipo dell’ANAC, secondo cui “rispetto alle precedenti versioni del bando tipo e alle indicazioni fornite sul punto dall'Autorità con il Comunicato del Presidente del 23/3/2021, è stata adottata una diversa interpretazione dell'articolo 120, comma 11, del codice, sulla base delle considerazioni offerte nella Relazione illustrativa. In tale documento, infatti, è stata evidenziata la necessità di prevedere il c.d. quinto d'obbligo sin nei documenti di gara iniziali, per rendere la previsione compatibile con le fattispecie di modifica consentite dalla direttiva, con ciò qualificando la fattispecie come ipotesi di modifica. Sulla base di tale indicazione, la fattispecie è stata considerata come esemplificazione delle ipotesi di cui al comma 1, lettera a) dell'articolo 120 ed inserita nel calcolo del valore complessivo dell'appalto”.

Di conseguenza, il quinto d’obbligo deve essere necessariamente ricompreso nel valore stimato dell’appalto ex art. 14, co. 4, d.lgs. 36/2023 a pena di impossibilità di utilizzo dell’opzione.

Nel parere successivo (n. 2455/2024) il MIT chiarisce che le espressioni utilizzate nel codice – del comma 9 dell’articolo 120 in cui si parla di modifica entro il valore del quinto - abilitano il RUP a muoversi nell’ambito di questo valore con la conseguenza che la modifica potrebbe essere anche di valore inferiore rispetto al quinto (ovviamente determinata dalle esigenze specifiche).

In conclusione, del parere l’ufficio di supporto segnala che “la questione del sesto quinto che nel nuovo codice rappresenta una autonoma fattispecie di modifica contrattuale” che non ha una specifica disciplina. In ogni caso, sottolinea in conclusione il parere “la facoltà di indicare valori inferiori (nda rispetto al quinto d’obbligo) sembra coerente con la previsione di cui all’art. 120 comma 9 del d. lgs. 36/2023” pertanto (circa l’utilizzabilità) “la risposta è affermativa. Occorre comunque considerare che la stazione appaltante si vincola ad un utilizzo per un importo minore di quello previsto”.