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ADR – A Domanda Rispondiamo

Estratto dalla Rivista MediAppalti, anno XII n. 3
2022
14Giugno

In presenza di violazioni “non definitivamente accertate” l’esclusione di un operatore economico dalla procedura di gara è automatica?

La disposizione di cui dall’art. 80, comma 4, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 50 come integrata con D.L. n. 76 del 2020 distingue due ipotesi concernenti, rispettivamente:
– la commissione di violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse (o dei contributi previdenziali), in presenza delle quali è prevista l’automatica esclusione dell’operatore;
– la commissione di gravi violazioni, non definitivamente accertate, agli obblighi relativi al pagamento l’inadempimento agli obblighi di pagamento delle imposte e delle tasse (o dei contributi previdenziali) che, viceversa, “può” comportare l’estromissione del partecipante laddove l’Amministrazione ne sia a conoscenza e possa adeguatamente dimostrarlo.
Secondo un prevalente orientamento giurisprudenziale, la valutazione di gravità è predeterminata dal legislatore al raggiungimento della soglia (€ 5.000,00) di cui all’art. 48 bis del D.P.R. n. 602/1972 nel primo caso e € 35.000,00 nel secondo caso. La differenza tra le due previsioni riposa chiaramente sull’automaticità, nel primo caso, ovvero sulla facoltatività del potere di esclusione da parte della stazione appaltante, al verificarsi dei presupposti normativamente previsti, nel secondo caso. Ai fini dell’adozione dell’atto espulsivo, sarà pertanto indispensabile verificare se sussistono i presupposti per l’applicazione della esclusione facoltativa, ossia la gravità delle violazioni e la conoscenza e adeguata dimostrazione di esse, con effetto pur sempre limitato solo al procedimento in corso.

E’ sempre possibile per i consorzi stabili qualificarsi attraverso il meccanismo del cumulo alla rinfusa?

ll criterio c.d. del “cumulo alla rinfusa”, ovvero la possibilità per i consorzi stabili di qualificarsi nelle gare di affidamento di appalti pubblici utilizzando i requisiti delle proprie consorziate, è il protagonista di una storia travagliata, costellata di confusi, a volte contraddittori, interventi normativi e di contrastanti interpretazioni dottrinarie e giurisprudenziali. Allo stato attuale, si ritiene che l'art. 47 del codice sia chiaro. «I  requisiti  di  idoneità  tecnica e finanziaria  per l’ammissione alle procedure di affidamento dei soggetti di cui all’articolo 45, comma 2, lettere  b) e c), devono essere posseduti  e comprovati dagli stessi con le modalità previste dal presente codice». Se la disposizione si fosse fermata a questo  periodo, avrebbe potuto tranquillamente sostenersi, richiamando la natura del consorzio stabile, che questo  potrebbe dichiarare di possedere e provare in sede di gara sia i requisiti posseduti in proprio che quelli di tutte le consorziate, indicate o meno per l’esecuzione dei lavori. E ciò anche se, quanto meno per i lavori, tale lettura sarebbe stata resa problematica dall’art. 84 del codice, il quale riferisce la prova del possesso dei requisiti “ai soggetti esecutori”. Il secondo periodo, però, opera come eccezione alla regola posta dal primo, disponendo: «salvo che per quelli relativi alla disponibilità delle attrezzature e dei mezzi d’opera, nonché all’organico medio annuo, che sono computati cumulativamente in capo al consorzio ancorché posseduti dalle singole imprese consorziate». La disposizione è chiarissima nel limitare il cumulo alla rinfusa agli aspetti indicati e, operando, appunto, come eccezione alla regola che impone al consorzio stabile di possedere e comprovare in sede di gara i requisiti di idoneità tecnica e finanziaria, chiarisce che questi non possono che essere che quelli maturati in  proprio  dalla  struttura  consortile,  non  potendo  risultare  dal  cumulo  dei  requisiti  delle  imprese consorziate (Cfr. ex multis Adunanza Plenaria n. 5 del 2021, TAR Lazio Roma, Sez. III, 3 marzo 2022).

Ci sono dei limiti quantitativi al subappalto negli affidamenti in concessione?

Alle concessioni di lavori e servizi in materia di subappalto si applica oltre la disciplina di cui all’art. 30, l’art. 174 del codice nonché i commi 10, 11 e 17 dell’articolo 105. Dalla lettura dell’articolo 174 emerge che l’eventuale subappalto, non prevede vincoli quantitativi limitandosi ad indicare al comma 2 l’obbligo per gli operatori economici di precisare in sede di offerta le parti del contratto di concessione che intendono subappaltate a terzi ma, vi è di più, la non sussistenza di un limite percentuale per il subappalto nel caso di concessioni è coerente con le caratteristiche stesse del modulo concessorio e quindi alla maggiore autonomia organizzativa attribuita al Concessionario nella gestione del rapporto con la PA. La stessa direttiva Comunitaria n. 23/2014 sulle concessioni non prevede alcun limite generalizzato per il ricorso al subappalto. Non è prevista dall’art. 174 del Codice neppure una specifica autorizzazione al subappalto, fermi restando evidentemente i poteri di controllo della stazione appaltante anche in corso di esecuzione e ferma restando - deve ritenersi - la possibilità di prevedere in via negoziale, mediante inserimento di apposita clausola nella convenzione di concessione, un’autorizzazione al subappalto da parte della stazione appaltante ai sensi dell’art. 1656 del Codice Civile.

Nella scelta dei soggetti componenti della Commissione Giudicatrice la Stazione Appaltante è tenuta al rispetto del principio di rotazione?

Rispetto alla nomina “a regime” dei componenti della Commissione tra gli esperti iscritti all’albo dell’ Anac, il comma 3 art. 77 cit. consente in alcuni casi alla stazione appaltante di nominare componenti interni nel rispetto del principio di rotazione escluso il Presidente, e precisamente per le ipotesi di affidamento di lavori di importo inferiore ad un milione di euro, per i servizi e le forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie, o per gli appalti di non particolare complessità svolti attraverso piattaforme telematiche di negoziazione ex art. 58. Ma, come noto, l’operatività dell’art. 77 comma 3 del d.lgs. n. 50/2016 nella parte in cui impone alle stazioni appaltanti l’obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all’Albo istituito presso l’Anac di cui all’art. 78, è stata sospesa fino al 30.06.2023 dall’art. 1 comma 1 lettera c) del d.l. 32/2019 conv. in legge n.77/2020. Pertanto, può ragionevolmente sostenersi che il principio di rotazione non costituisce un vincolo rigido in quanto codificato dall’art. 77 dal momento che, come riconosciuto dalla giurisprudenza, l’inoperatività dell’albo dei commissari, lascia esclusivamente fermo solo “l'obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante” come sancito dalla stessa norma transitoria di cui all’art. 216, comma 12, del Codice, richiamata a sua volta dall’art. 1 comma 1 lettera c) del d.l. n.32 di proroga sopra richiamato. L’attuale vincolo, nella scelta dei commissari, pertanto si ravvisa solo nell’obbligo di scegliere i membri tra persone con professionalità adeguata in base a criteri preventivamente individuati (T.A.R. Abruzzo – Pescara, sentenza n. 504/2021; Tar Lombardia, Brescia, I, 11 gennaio 2022, n. 18)

E' possibile per il RUP non dipendente di una società pubblica, fruire dell'incentivo di cui all’art. 113 del D.lgs. 50/2016?

Atteso che per “amministrazione aggiudicatrice” il Codice dei contratti pubblici intende “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti;” (art. 3, comma 1, lett. a), risulta quindi chiaro che le società “in house”, essendo considerate degli organismi di diritto pubblico ed essendo obbligate ad applicare il Codice dei contratti pubblici per espressa previsione normativa, sono tenute a dare attuazione anche alla previsione di cui all’art. 113 del Codice e, di conseguenza, a costituire il fondo per gli incentivi al personale tecnico. E' la norma stessa a stabilire i confini dei destinatari del fondo di cui al comma 2 dell'art. 113, tale beneficio come indicato al terzo comma, è previsto esclusivamente per i dipendenti escludendo il personale con qualifica dirigenziale. Pertanto, se il RUP è dirigente, non beneficia dell'incentivo, la quota parte può essere da questi ripartita tra i dipendenti dei gruppi di lavoro fino ad un massimo dell’8% ovvero, in caso di assenza di collaboratori, destinata al fondo per l’innovazione.

Cosa succede in caso di mancata nomina formale del Responsabile Unico del Procedimento?

Non prevedendo l’art. 31 del Codice una specifica disciplina da applicarsi alla ipotesi in cui non vi sia stata, una formale nomina del responsabile (unico) del procedimento, risulta applicabile la regola generale della l. 241/1990, in particolare la previsione recata nell’art. 5, in virtù della quale, nel caso di mancata nomina di un funzionario quale responsabile del procedimento, deve intendersi che tale funzione sia attribuita “automaticamente e naturalmente” al dirigente responsabile dell’ufficio e del procedimento ovvero al funzionario che detto ufficio dirige (nel caso in cui l’organigramma dell’ente-stazione appaltante non preveda, in pianta organica, la presenza di posizioni dirigenziali). Può quindi affermarsi che, anche nella vigenza del nuovo ‘Codice’ dei contratti pubblici, nel caso di mancata nomina espressa di un responsabile (unico) del procedimento, deve intendersi automaticamente assunta tale funzione dal dirigente o dal funzionario responsabile dell’ufficio, senza che la mancata espressione manifesta e formale della nomina del responsabile (unico) del procedimento si possa tradurre in un vizio invalidante della procedura.